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L’eredità politica di Casaleggio e l’ombra di Renzi

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Muore il cofondatore del Movimento 5 Stelle la mattina in cui si parla dell’ammiraglio De Giorgi, capo di Stato Maggiore della Marina, indagato dalla Procura di Potenza per associazione per delinquere, abuso d’ufficio e traffico d’influenza nello scandalo Gemelli-Guidi, che vuol dire il petrolio in Basilicata e parecchio altro ancora, fino a riguardare la trivellazione del Paese e quindi il referendum di domenica prossima di cui quasi nessuno parla e quasi nessuno è informato. Che hanno a che vedere le due notizie, una luttuosa e politica, l’altra giudiziaria e politica, tra loro e perché le tengo insieme? Per quell’aggettivo, “politica”, che è stato il denominatore comune delle ultime stagioni dell’esistenza ahi noi già finita di Gianroberto Casaleggio. Se lui, Grillo, migliaia di cittadini e milioni di elettori hanno prima concepito, poi sviluppato e quindi portato in Parlamento e nelle amministrazioni locali l’M5S, è stato perché non se ne poteva più dei De Giorgi, dei Gemelli, delle Guidi intesi purtroppo come categoria. Di una politica avvertita come casta dominante, di un capitalismo di relazione in cui c’è un certo numero di figure/figuri che circolano nei consigli d’amministrazione grandi e piccoli di un Paese soffocato dal conflitto di interessi, di controllori e controllati coincidenti, di clienti e famigli troppo spesso senza arte né parte prosperati all’ombra di una classe dirigente che ha pesantemente contribuito a ridurre il Paese in questo stato.

Dico contribuito e non determinato perché se dal basso, antropologicamente, in una chiave culturale che uno come Casaleggio voleva ribaltare, non ci fosse stata una connivenza e una rassegnazione da omologhi adesso non staremmo messi così: ancora con i medesimi scandali, le stesse magagne, un Paese che va indietro, checché ne dica Renzi. Per anni abbiamo letto allusioni a chi ci fosse dietro il Movimento, segnatamente a Casaleggio e Grillo, mentre pare che uno come il premier sia nato politicamente sotto un cavolo. Partiti, media, facsimili di intellettuali avrebbero preferito che fossero davvero dei burattini, i due fondatori, magari uno dell’altro o ancor meglio per conto terzi, così da poterli sussumere come attori dello stesso teatrino. Nessuno (o quasi) è sembrato augurarsi, pur nella diffidenza e nello scetticismo cui ci costringe la storia patria, che fossero davvero loro il nuovo, un’ipotesi di cambiamento che restituisse dignità e consapevolezza popolare alla politica: no, l’ideale era che Grillo fosse un buffone pregiudicato e Casaleggio un Mazzarino dei poveri che subornava attraverso la rete i suoi adepti. Se poi non era esattamente così, allora i rappresentanti del M5S andavano ignorati, finché si è potuto.

Certo, in morte di Casaleggio è assai poco rispettoso anche nei suoi confronti far finta che non ci siano ambiguità e contraddizioni nel processo che porta dalla lotta al governo, dalla Piazza al Palazzo. E che il discorso sulla democrazia, sia rappresentativa che diretta per di più attraverso il web, non sia assai più complesso, relativo e dinamico di quello che si vuol manifestare applicando etichette e/o censure. Così come è ancora da dimostrare nel medio periodo la qualità politica degli eredi di Casaleggio, specie di fronte a prospettive di governo centrali o locali in un paesaggio deformatissimo. Ma gli altri, chi sono, che fanno gli altri? Quelli contro cui il Movimento è stato fondato e sviluppato? Chi di loro può chiamarsi fuori dallo sfascio? L’ex rottamatore Renzi e la sua tiritera sull’antipolitica grillina, mentre invita craxianamente a ignorare il referendum di domenica? Mentre difende la sua ombra più del suo stesso governo?

Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano


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